Nonostante tutti i riferimenti a cose conosciute, anche importanti, quando ho davanti agli occhi le piante dei piedi prende la mia attenzione più viva quello che c’è dietro le dita dei piedi: è un richiamo di qualche cosa che non è manifesto, ma c’è, esso interroga come la quinta voce di un corale a quattro voci, si percepisce piano, a tratti, la si insegue per afferrarla, indicarla a chi non crede vi sia.
E non deve sorprendere che la contemplazione del piede attiri nello spazio che si stende dietro le dita… Tutto quel che possiamo agire è nello spazio antistante, il palcoscenico della pianta del piede, ma ogni agire possibile tende allo sfondo dietro le dita, che si intravede fra un dito e l’altro, tende a essere in sintonia con il templum: lo spazio del cielo osservato, è teso a cercare con lo sguardo circoscritto da un orizzonte ma aperto sull’infinito.
Quando un trattamento ai piedi funziona, l’operatore diviene marionetta nelle mani del ricevente… o una cassa armonica, che risuona della sua anima, così chi riceve si vede, si riconosce: e i piedi emanano la sua essenza musicale, la melodia muove le mani che danzano sul pavimento che è le piante dei piedi, danza duale che unifica… L’operatore accoglie il proprio ruolo che è di non esserci. Chi riceve è l’autore.